Il primato della volontà
L’Autore ripercorre le diverse tappe dell’elaborazione del concetto di volontà tanto in Agostino quanto in Massimo il confessore, due giganti del pensiero cristiano e delle cultura classica. La novità che la presente opera offre ai lettori è l’aver colto un chiaro influsso di Agostino su Massimo il confessore, vale a dire la presenza di aspetti teologici e antropologici affini in tradizioni tanto diverse quali la tradizione latina e quella bizantina.
2002, p. 264, 24
RECENSIONI
L’Osservatore Romano Mercoledi 30 ottobre 2002
Il primato della volontà nella cultura occidentale
Il concetto di volontà elaborato da Agostino (354-430) e da Massimo il Confessore (580-662) va inserito nell’ampio panorama della storia dell’uomo occidentale e dell’idea che egli si è fatto di se stesso. Della volontà, i Padri della Chiesa hanno messo in evidenza la proprietà essenziale che è il libero arbitrio, quale capacità di autodeterminazione, di scelta del bene e del male. La difesa del libero arbitrio è diventato il tema portante dell’antropologia cristiana in polemica con le correnti del fatalismo, lo gnosticismo e il manicheismo che ne negavano l’esistenza. Toccherà ad Agostino, per primo, elaborare una vera e propria metafisica e fenomenologia della volontà e addirittura riconoscere nella volontà la sede specifica dove nasce e si produce il pensiero umano (De Trinitate XI). E sarà sempre Agostino a identificare l’atto volitivo come “amor”. Sviluppando un’intuizione degli stoici, egli vede nella “voluntas” un “motus animi” o “motus rationalis”, proprio della natura umana, un tutt’uno con quella forza che in ogni essere tende a conservare e sviluppare la propria essenza. Per secoli Massimo, nella qualità di pensatore, è passato sotto silenzio; è stato considerato piuttosto un buon compilatore e rielaboratore di dottrine altrui, quali l’origenismo evagriano e la dottrina areopagitica. Anch e S. Tommaso d’Aquino lo considera un “commentator” di Dionigi l’Areopagita. Da alcune decine d’anni, grazie a Balthasar, Shervood, Dalmais è stata messa in evidenza l’originalità e la profondità del suo pensiero. C’è addirittura chi considera Massimo come il primo ad elaborare il concetto tecnico di volontà naturale. La presente ricerca mette in evidenza analogie e somiglianze mai prima notate e segnalate che fanno pensare a un preciso influsso del vescovo d’Ippona sul monaco bizantino. Questo studio offre non pochi stimoli per tentare nuove piste di ricerca tra Patristica latina e greca. (Vittorino Grossi)
Avvenire sabato 16 novembre 2002
Fra Agostino e Massimo ecco il primato della volontà
di Maurizio Schoepflin
E’ noto che una delle novità significative apportate dal pensiero di ispirazione cristiana riguardò la concezione della volontà, tanto che è stato possibile affermare che se la filosofia greca risulta caratterizzata da una prospettiva intellettualistica, quella cristiana appare contraddistinta da una chiara tonalità volontaristica; a ciò soprattutto a partire dalla diversità delle immagini del divino proprie delle due grandi tradizioni: al Dio aristotelico definito come “pensiero di pensiero”, la rivelazione biblica contrappone un Dio creatore e padre, ovvero persona che vuole e ama. Dunque, fin dalle origini, nei filosofi cristiani troviamo riflessioni assai importanti e articolate sul tema della volontà, proprio perché essi si resero perfettamente conto che si trattava di un argomanto di capitale rilevanza.
Il denso e documentato libro di Luigi Manca, Il primato della volontà in Agostino e Massimo il Confessore (Armando, pp. 264, euro 24) rappresenta un valido strumento per avvicinarsi a tale questione mediante l’analisi delle dottrine dei due protagonisti della filosofia e della teologia dei primi secoli cristiani, due veri e propri luminari: il primo, più conosciuto e studiato, inserito nella ttradizione del cristianesimo occidentale, il secondo, ancora non adeguatamente valorizzato, in quella dell’Oriente.
Nella prima parte del volume, Manca presenta i capisaldi della dottrina agostiniana della volontà, che si interseca costantementecon alcune fondamentali questioni affrontate dall’Ipponense anche nel contesto della polemicacontro Pelagio:il libero arbitrio, la grazia, la predestinazione.
L’esposizione del pensiero di Massimo il Confessore, che occupa la seconda sezione del libro, viene operata tenendo conto della questione dell’eresia monotelita, condannata dal VI Concilio ecumenico, tenutosi a Costantinopoli nel 680-681, la quale, ponendo in Cristo la sola volontà divina, ne mutilava la natura umana.
Manca dedica l’ultimo capitolo al confronto fra le tesi dei due Padri della Chiesa, e indica vari importanti elementi di forte affinità, cosa che gli permette di avanzare un’ipotesi interpretativa molto interessante: “La convinzione più diffusa -scriva Manca – è che sia stato l’Oriente a esercitare un influsso sull’Occidente. Ciò è indubbiamente vero soprattutto se riferito ai primi tre o quattro secoli. Il rapporto tra S. Massimo e S. Agostino… potrebbe rivelare anche un osmosi al contrario: dall’Occidente a beneficio dell’Oriente”. Una riprova ulteriore di quel “senso cattolico della Chiesa” di cui parla Giovanni Paolo II nell’enciclica Slavorum Apostoli.