I Padri della Chiesa e il valore della libertà

, in “Quaderni di Studi” (ISSR di Lecce) 1 (2000),
pp. 99-124.

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(Inserito il 12 luglio 2009)

La spiritualità coniugale nel De bono coniugalidi S. Agostino

 

Introduzione: il matrimonio nei PadriNon si può parlare di vita cristiana nella Chiesa antica senza il riferimento alla realtà del matrimonio e della famiglia. La famiglia, fondata sul matrimonio è davvero l’asse portante della vita cristiana per tutta

la Chiesa, insieme con la liturgia, la catechesi e l’esercizio della carità.La vita coniugale, con l’educazione e l’amore dei figli, l’impegno nel lavoro e la carità verso il prossimo sono le occasioni più importanti per esprimere il proprio “credo”, per vivere nella realtà quotidiana il proprio rapporto con Cristo. Fin dal tempo di Ignazio (fine del I secolo) gli sposi cristiani suggellano la loro unione con il consenso del vescovo: “affinché le nozze avvengano secondo il Signore e non secondo la concupiscenza” (Lett. A Policarpo 5,2). L’intervento del vescovo non modificava l’aspetto giuridico del matrimonio: esso avveniva sempre secondo le norme civili e gli usi del tempo così come prescrivevano le tabulae nuptiales (Cf Tertulliano, Alla moglie, 2,3,1), secondo una tradizione attestata fino al V secolo. I cristiani dei primi secoli hanno inaugurato un modello di matrimonio basato sull’unione sponsale di Cristo con

la Chiesa: nell’amore la sottomissione cessa di essere schiavitù e diviene libertà; per altro verso, la sottomissione assicura all’amore la sua regolarità e longevità. Un testo di Tertulliano ci offre l’idea di quale fosse lo spirito che animava la vita degli sposi cristiani: “Quale giogo quello di due fedeli di un’unica speranza, di un unico voto, di un’unica osservanza, di un unico servizio. Essi sono fratelli l’uno per l’altro e si servono reciprocamente; nessuna distinzione fra carne e spirito. Anzi sono veramente due in una carne sola e dove la carne è una è uno anche lo spirito. Insieme pregano, insieme s’inginocchiano ed insieme digiunano; l’uno insegna all’altro, l’uno esorta l’altro, l’uno sostiene l’altro….. Con libertà visitano i bisognosi e sostengono i poveri….Il segno di croce non si fa di nascosto; la lode non è timorosa, la benedizione non è silenziosa; i salmi e gli inni cantano a due voci e fanno a gara per cantare meglio al loro Dio” (Alla moglie 2,8,6ss).

Da altri testi patristici, come

La Lettera a Diogneto e

la Prima Apologia di Giustino, sappiamo come i cristiani si distinguessero dai pagani per l’osservanza assoluta della fedeltà coniugale:

“Abbiamo in comune la mensa non il letto” (Ad Diogn.).

La vita cristiana, in tutta la sua purezza e integrità, veniva applicata alla vita coniugale, come pure al lavoro e a tutti gli ambiti della vita sociale.

Non abbiamo però, ancora, una esplicitazione della spiritualità coniugale, i cui germi pure erano presenti nel N. T. Anzi molti cristiani e autori cristiani risentivano dell’influsso di correnti gnostiche prima e poi manichee, che consideravano negativamente il corpo e di conseguenza l’unione coniugale.

Sotto questo aspetto riveste un’enorme importanza il De bono coniugali di S. Agostino, che rappresenta il primo vero scritto sul matrimonio dell’epoca patristica.

L’occasione della composizione è data, non da richieste da parte di amici o altre persone, come per tanti scritti agostiniani, ma dalla sollecitudine di pastore, dal bisogno di intervenire in una controversia, che sembrava sopita, e per giunta svoltasi lontano dall’Africa: la polemica suscitata da Gioviniano a Roma. Nelle Retractationes è Agostino stesso a descriverci la posizione di Gioviniano

(Retr. 2,22: leggere il testo).

L’errore di fondo di Gioviniano era quello di esaltare il matrimonio a scapito della verginità. Contro Gioviniano si erano pronunciati papa Silicio (che condannò l’errore in un sinodo romano del 392), Ambrogio, Girolamo. Quest’ultimo scrisse l’Adversus Iovinianum e nella foga della polemica complicò le cose. Per difendere la superiorità della verginità, Girolamo svalutò il matrimonio, dando ai discepoli di Gioviniano, ridotti da tempo al silenzio, motivo per rinnovare le accuse contro gli avversari del loro maestro. Secondo costoro, o si era gioviniani o manichei. Affermavano, infatti, che gli avversari di Gioviniano non sapevano difendere la verginità senza parlar male del matrimonio. Agostino avvertì il pericolo di queste affermazioni. Già nei confronti di Gioviniano egli affronta il dilemma: o gioviniani o manichei e poi con i pelagiani: o pelagiani o manichei. La terza via proposta da Agostino è la via della Chiesa. Circa la verginità e il matrimonio egli sosterrà la superiorità della prima e la bontà del secondo.

In questa occasione Agostino rappresenta un elemento di progresso nella concezione del matrimonio e nel suo rapporto con la verginità rispetto alla patristica del suo tempo.

La letteratura patristica nell’insistere sulla verginità apre inevitabilmente un confronto con il matrimonio e in tale confronto manifesta residui di “apàtheia” e di “encràteia”. In genere i Padri si ispiravano all’atteggiamento dell’Apostolo Paolo, accentuando la superiorità della verginità con la conseguente svalutazione del matrimonio, pur considerando quest’ultimo sostanzialmente un bene. Ma la tendenza paolina spesso induceva alcuni Padri come Girolamo a ulteriormente sminuire l’aspetto positivo del matrimonio giudicando l’atto coniugale tollerabile solo perché peccato meno grave della fornicazione (Adv. Iov. 1,7: PL 23,229B).

La posizione di Ambrogio è più moderata. Egli interpreta Paolo in modo più equilibrato. Esalta la superiorità della verginità e difende la validità del matrimonio. Ma anche Ambrogio non esita, all’occorrenza di mettere in risalto gli inconvenienti del matrimonio, di esaltare , insomma la verginità a scapito del matrimonio. Su questo aspetto egli ricalca i luoghi comuni sulle “molestiae nuptiarum”. La condizione miserabile della donna si manifesta ancor prima delle nozze, alla stipulazione del contratto matrimoniale, simile alla vendita degli schiavi. La più grave molestia è poi il vincolo stesso matrimoniale, che è come un giogo che opprime entrambi i coniugi, ma comporta una più pesante sudditanza della donna. Poi vi sono le sofferenze del parto, la fatica di educare i figli, i lutti per la loro perdita, i disagi morali.

 

 

Alcuni aspetti della spiritualità coniugale presenti nel De bono coniugaliTenendo conto di questi presupposti il De bono coniugali contiene non pochi elementi di progresso nella visione del matrimonio, del corpo, della sessualità.

  1. Il matrimonio è un bene. Questa affermazione in forma categorica apre l’operetta:

“il connubio del maschio e della femmina è un bene” “ E mi sembra che sia tale non solo per la procreazione dei figli, ma anche perché stringe una società naturale fra i due sessi” (3,3). Ecco gli elementi di progresso: il matrimonio non è un male minore (quasi una fornicazione tollerata), esso è un bene. Agostino riconosce nel matrimonio non solo il bene della procreazione ma anche il bene dell’unione in sé e infine il bene squisitamente spirituale. Nel De bono coniugali abbiamo la descrizione dei cosiddetti tria bona.

 

Primo bene: il bene della prole.Fondamentale è il paragrafo 10,11 (leggere).La procreazione è il primo motivo per cui sono state istituite da Dio le nozze. L’atto sessuale è per sua natura ordinato alla procreazione. Interessante, a questo proposito il parallelismo fra l’alimentazione e la procreazione (16,18): Quello che infatti è il cibo per la conservazione dell’individuo, questo è l’unione carnale per la conservazione del genere umano; ed entrambe le cose non sono prive di piacere fisico. Ma questo piacere regolato e disciplinato dalla temperanza secondo l’uso della natura, non può essere libidine Sul piano morale Agostino non ha una visione sommaria: o tutto buono o tutto cattivo, ma più articolata, acquista non poca importanza l’intenzionalità dell’atto. L’atto coniugale in vista della procreazione è buono; quando avviene per soddisfare la concupiscenza ma nella fedeltà del matrimonio rappresenta una colpa veniale per il coniuge succube della passione; l’adulterio invece rappresenta una colpa grave. Rendere il debito coniugale non è affatto una colpa, anzi è una specie di caritas coniugalis perché impedisce di provocare il danno dell’altro. Quindi lo stesso atto coniugale per un coniuge può rappresentare una lieve colpa, per l’altro addirittura un atto di carità. Mentre la procreazione costituisce l’aspetto oggettivo del matrimonio, la caritas coniugalis rappresenta l’aspetto soggettivo, che completa il primo. Infatti conferisce all’atto coniugale la dimensione dell’amore sottraendolo ad un atto puramente biologico. E così, l’unione dei sessi, di per sé, segnata dalla concupiscenza a causa del peccato originale, viene impiegata per fini nobili, qual è la procreazione e l’amore reciproco. In un certo senso S. Agostino intravede nell’atto coniugale, oltre al fine della procreazione, anche quello dell’amore reciproco. La stessa caritas coniugalis conserva il matrimonio anche senza l’unione dei sessi. Dunque per Agostino l’intenzione dei coniugi ha una rilevante importanza sul piano morale; è intenzione retta non solo quando si uniscono per la procreazione ma anche quando uno rende il debito all’altro perché questi non pecchi di infedeltà. Allorquando, invece, tutti e due i coniugi si lasciano trasportare dalla passione, si commette una colpa lieve (su questo aspetto vi è stata una evoluzione nel pensiero di Agostino, che è passato da un atteggiamento tollerante a uno di ferma condanna).

 

Il secondo bene: il bene della fedeltà (bonum fidei).A proposito della fedeltà, Agostino si richiama a 1 Cor 7,4: “Non è la moglie che ha la potestà sul proprio corpo, ma il marito; allo stesso modo non è il marito che ha la potestà sul proprio corpo, ma la moglie”. E’ un bene che non deve mai venire meno, neppure per il desiderio di una discendenza.E’ un bene così essenziale da essere anteposto perfino alla propria conservazione fisica. La fedeltà rimane un bene anche nelle cose più basse e materiali (4,4). Attraverso la fedeltà coniugale si crea tra l’uomo e la donna come una sorta di uguaglianza. Su questo aspetto, promosso dal cristianesimo, insiste molto Agostino nei confronti dei suoi fedeli, in particolare dei mariti, a considerare la propria consorte uguale in dignità: “…Non vuoi che tua moglie faccia un torto a te, non lo fare tu a lei. Tu sei il Signore, lei l’ancella… E’ vero. A queste tavole ha sottoscritto il vescovo: le vostre mogli sono le vostre ancelle, voi siete i loro signori. Ma quando si arriva all’affare della distinzione dei sessi, la moglie non ha il potere sul proprio corpo, ma il marito. Godevi, t’innalzavi, ti vantavi….Ascolta ciò che segue, ascolta ciò che non vuoi…..ugualmente anche il marito non ha il potere sul proprio corpo, ma lo ha la moglie. Ascolta volentieri queste parole: non ti viene tolto il dominio ma il vizio…..Se sei capo, và avanti e ti seguirà, ma sta’ attento dove vai. Sei capo, và dove possa seguirti, non andare dove non vuoi che ti segua” (Sermo 332,4).Il bene della fedeltà precede anche la volontà unilaterale di castità, di astenersi dai rapporti matrimoniali per motivi ascetici. Ecco cosa scrive Agostino ad Ecdicia: “Se tu non avessi avuto mai il suo consenso, nessun numero d’anni ti avrebbe potuto giustificare e dopo qualsiasi  tempo tu avessi chiesto il mio parere, non t’avrei risposto se non quanto dice l’Apostolo… “ (Ep. 127,9). Anche nella vecchiaia, dunque, quando la generazione è ormai impossibile, è non solo lecito, ma doveroso rendere il debito coniugale.

Terzo bene: il bene del sacramento.Il bene del sacramento non s’identifica con la fedeltà coniugale, ma conferisce a quest’ultima un significato più alto, ponendovi il sigillo divino: Io penso che in nessun modo esso potrebbe avere una forza così grande, se pur nella condizione umana di debolezza e mortalità, non assumesse il sigillo di un valore più alto (6,7).Il bene del sacramento comprende l’indissolubilità e la sacramentalità del matrimonio stesso. Sul primo aspetto il pensiero di Agostino nel De bono coniugali è abbastanza chiaro (Cf tutto il testo 6,7). Egli esamina tutti i casi in cui uno dei coniugi può separarsi dall’altro senza però contrarre nuove nozze. Sappiamo come il riconoscimento del matrimonio come sacramento, nella Chiesa, è stato lento e graduale e va di pari passo con il riconoscimento del numero settenario dei sacramenti. La parola sacramentum, nei Padri Greci mysterion si è man mano arricchita di un contenuto sempre più tecnico. In questa elaborazione il ruolo di Agostino è rilevante, soprattutto nella distinzione tra signum in genere, signum sacrum, sacramentum e virtus sacramenti, vale a dire tra realtà sacramentale e frutto del sacramento. Padre Trapè si chiede se Agostino ha poi applicato al matrimonio questa distinzione. Per Trapè sì, ma solo indirettamente. Agostino non dice mai in forma esplicita che il matrimonio conferisce di per sé la grazia. Per Trapè lo si può però dedurre.Vi sono dei punti fermi: istituzione divina, conferma di Cristo, simbolo dell’unione tra Cristo e

la Chiesa, un certo rapporto tra matrimonio e battesimo (De con. adult. 2,5,5), matrimonio e ordine sacro (De bono con. 24,32), la sanctitas sacramenti supera anche il bene della generazione.

ConclusioneCome ai nostri tempi, anche ai tempi di Agostino, una delle preoccupazioni dei pastori era la salvaguardia della santità del matrimonio, continuamente minacciato da una cultura della trasgressione, nel caso specifico, dell’adulterio. Nel De bono coniugali abbiamo un esempio in positivo di quello che poteva rappresentare un matrimonio cristiano, una prova di quanto stesse a cuore alla chiesa la vita dei coniugi cristiani, in quanto tali. Agostino, come pastore d’anime, sapeva bene, come lo sappiamo noi oggi, l’importanza della cura pastorale della famiglia e della vita di coppia. Egli ha impiegato la carica di novità propria della spiritualità cristiana per scardinare i vecchi luoghi comuni che caratterizzavano la vita matrimoniale del suo tempo, come l’idea, avallata anche dalle leggi civili, che ciò che è biasimevole per una donna, l’adulterio, è perdonabile all’uomo. Negli ultimi anni della sua vita, Agostino scrive a un suo vecchio amico, Cornelio, un vedovo che conduceva una vita dissoluta. Questi gli aveva chiesto l’elogio della moglie, in nome dell’amicizia.E in nome dell’amicizia, ecco come risponde Agostino: “ Mi hai scritto perché io t’inviassi una lunga lettera consolatoria dato che sei rimasto fortemente turbato per la morte dell’ottima tua consorte….Veramente la tua consorte, accolta nel consorzio delle anime fedeli e caste, non cura né cerca le lodi umane, ma poiché questi elogi si fanno per conforto dei viventi, tu, dal momento che desideri consolarti con la sua lode, devi anzitutto vivere in modo da meritare d’essere un giorno là dove si trova essa. ….per questo motivo, fare l’elogio di lei al fine d’allontanare, per così dire, il cordoglio dal marito, ben diverso da lei, è un’azione adulatoria, non già consolatoria. Se infatti tu le volessi bene come te ne ha voluto essa, avresti conservato verso di lei la fedeltà ch’essa ha osservato verso di te. …A questo punto tu mi chiederai: ‘Perché mi tratti così duramente? Perché mi rimproveri così aspramente?’ Non siamo forse diventati vecchi a sentir parole mentre si trascina la vita che finirà prima che la si possa correggere? Vorresti forse ch’io perdonassi il tuo funesto cinismo? Quanto sarebbe meglio che tu perdonassi la mia sollecitudine, la quale, anche se non è amabile, è degna almeno di compassione?”(Ep. 259, 1-2)

Fino a qualche decina di anni fa si ammetteva che una persona sposata fosse santa, nonostante il suo stato matrimoniale. Il matrimonio costituiva un apporto solo indirettamente alla propria santificazione , se vissuto con rinunce, sacrifici e sofferenze. Non rappresentava per se stesso una via per la santità. Di santa Francesca Romana (+1447) si dice che dormiva in un letto separato da quello del marito e l’intimità tra marito e moglie le appariva ripugnante… Di santa Dorotea di Montan (+1394) si diceva che era pigra a letto e zelante nel flagellarsi. Ci si rendeva coscienti di poter essere uniti a Gesù solo sacrificando il matrimonio. L’aspetto sacramentale, di fatto, non era colto in tutta la sua carica spirituale.Chiedere ad Agostino di riconoscere l’amore coniugale degli sposi uniti dal sacramento, un amore pienamente permeato dall’amore di Cristo, forse è chiedere troppo. Nel De bono coniugali, sono comunque presenti già i germi di una spiritualità coniugale, che valorizza l’unione sessuale degli sposi, elevandola alla dignità di carità coniugale e dunque anche mezzo di santificazione.Nel De sancta virginitate dice:Ci sono, nella vita presente, delle implicazioni che occorre evitare: quelle cioè che ostacolano in qualche modo il conseguimento dei beni futuri. Così, nella vita coniugale, il dover pensare alle cose del mondo: vale a dire, per l’uomo, come contentare la moglie, e per la donna,come contentare il marito. Non che siano cose inconciliabili col regno di Dio, come invece lo sono i peccati….”(14,14).

 


Gerolamo si proponeva la confutazione dei Commentarioli un’opera scritta in un latino rozzo, andata perduto di Gioviniano. Gerolamo ci tramanda di quest’opera le quattro tesi: uguaglianza del matrimonio e della verginità; impeccabilità del battezzato, inutilità del digiunoo; identità della ricompensa nel cielo. S. Agostino ricalca questi punti nel De haeresibus 82.

Cf. De virginibus 1,9,56.

Cf Retr. 2,22,2: “S’è detto questo perché non è passione il buono e corretto uso della passione. Come è male un cattivo uso dei beni, così è bene un buon uso dei mali. Di questo argomento ho trattato approfonditamente altrove ( De nupt. et concup. 2,21,36), soprattutto in polemica con i nuovi eretici seguaci di Pelagio”.

A proposito dell’espressione “va’ avanti” riferito al marito, in apertura del De bono coniugali, andando oltre la consuetudine dell’antichità, dice “ fianco a fianco infatti si uniscono coloro che camminano insieme e che insieme guardano alla stessa meta” (1,1).

Per gli Scolastici: il matrimonio è segno efficace della grazia.

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